Glaucoma: nuovi misuratori di pressione oculare da usare in casa

Innovativi sensori microfluidici renderanno più agevole il controllo continuo della pressione intraoculare, fondamentale per i pazienti affetti da glaucoma. A fare le misure sarà lo stesso malato, grazie a questi dispositivi semplici e privi di batterie e con l’ausilio di uno smartphone.

Eye sensor

Un gruppo di ricercatori di Stanford (California) ha sviluppato un nuovo sensore, piccolo ed economico, che potrà semplificare notevolmente il controllo di pazienti sottoposti a terapia per la cura del glaucoma. In particolare, esso permetterà di monitorare i cambi della pressione intraoculare lungo l’intera giornata. Sebbene sia necessario impiantare il dispositivo nell’occhio, in seguito il paziente sarà in grado di effettuare per proprio conto le misurazioni, senza dover stare in una struttura ospedaliera.

Il glaucoma è una malattia oculare molto grave che affligge oltre 65 milioni di persone al mondo e rappresenta la seconda causa di cecità, dopo la cataratta. E’ noto che un importante fattore di rischio è un’elevata pressione intraoculare, pertanto è importante farsela misurare regolarmente dall’oculista: se tale sintomo viene rilevato, occorre intervenire tempestivamente per ridurla, spesso ricorrendo alla chirurgia.

Pressione intraoculare sotto controllo

Il monitoraggio della pressione interna degli occhi è importante non solo per la diagnosi, bensì anche per la verifica degli effetti della terapia anti-glaucoma e/o nel periodo successivo all’operazione. A rendere piuttosto complicato tale compito è il fatto che, secondo quanto si è scoperto attraverso vari studi, la pressione intraoculare varia lungo l’arco della giornata e a seconda della posizione (essa è maggiore quando si sta supini). Inoltre, tali variazioni appaiono più ampie nei soggetti affetti da glaucoma. Ciò che ne consegue è che la misurazione puntuale effettuata dall’oculista non è sufficiente per tenere sotto controllo i pazienti a cui sia stata diagnosticata la malattia.

Sistema microfluidico per la misura della pressione intraoculare, incorporato in una lente oculare, di quelle normalmente impiantate nelle operazioni di cataratta. [Immagine: Nature Medicine; Nature America, Inc.]

Il dispositivo realizzato dai fisici e bioingegneri di Stanford (California) è costituito da un sensore di pressione che si può montare in una lente intraoculare, del tipo di quelle che vengono impiantate chirurgicamente a pazienti affetti da cataratta.
Il sensore si basa su semplici principi di fisica dei fluidi. Esso è composto da un canale microfluidico messo in comunicazione diretta con il liquido acquoso presente nell’occhio e connesso, dall’altro lato, a una piccola riserva di una sostanza gassosa. La pressione intraoculare fa sì che il liquido entri nel microcanale e comprima il gas, fino al raggiungimento di una condizione di equilibrio. Se la pressione aumenta, l’interfaccia tra il liquido e il gas si sposta in direzione della riserva di quest’ultimo; viceversa, se ne allontana se la pressione diminuisce.

Basta uno smartphone

Ciò che rende tale dispositivo estremamente pratico è il fatto che la misura effettuata possa essere letta semplicemente con uno smartphone dotato di fotocamera. Occorre solo adoperare un adattatore ottico, che consenta di posizionare correttamente la fotocamera di fronte alla pupilla e mettere in ombra l’occhio, e di un programma specifico in grado di analizzare l’immagine così acquisita e estrarne il valore della pressione intraoculare. L’uso di un dispositivo elettronico intelligente, come appunto lo smartphone, facilita anche l’immagazzinamento ordinato dei dati e la ricostruzione delle variazioni giornaliere della pressione.

I test condotti sui prototipi di tali sensori ne hanno messo in evidenza la elevata precisione e sensibilità, caratteristiche che li rendono particolarmente affidabili.

Smartphone with optical adaptor

La misura di pressione potrà essere letta con la fotocamera di uno smartphone dotato di un apposito adattatore ottico e di un’applicazione per analizzare l’immagine. (L’adattatore nella foto è solo un esempio indicativo).

E non sono gli unici: altri misuratori “portatili”

Non si tratta in realtà dei primi misuratori di pressione intraoculare “portatili” che siano stati inventati. Un gruppo di ricercatori dell’Università del Michigan ha sviluppato un sensore capacitivo basato sulla tecnologia MEMS (sistemi micro-elettro-meccanici), il quale misura la pressione dell’occhio a intervalli fissi e li registra su una piccola memoria RAM. I dati sono poi inviati ad un dispositivo di lettura tramite una microantenna.

Anche la compagnia svizzera Sensimed, specializzata in apparecchiature elettromedicali, ha messo a punto un misuratore incorporato in una lente, basato su un anello di platino che si tende (o comprime) e cambia resistenza a seconda della pressione. Anche in questo caso i dati sono trasmessi a un sistema di lettura tramite antenna.

Sensimed's eye sensor

Lente con misuratore di pressione sviluppato dalla compagnia svizzera Sensimed. [Immagine: Sensimed]

Tali soluzioni risultano però poco comode perché entrambi i dispositivi sono piuttosto ingombranti e, soprattutto, hanno delle batterie che devono essere ricaricate periodicamente. Il grandissimo vantaggio del sensore microfluidico sviluppato a Stanford è che esso, invece, non ha alcuna antenna e non ha bisogno di essere caricato. I dati relativi alle misure di pressione, infatti, non vengono inviati, bensì la lettura avviene direttamente tramite un comune smartphone dotato di apposita applicazione. Dall’altro lato, però, tale sensore non registra automaticamente la pressione, bensì è il paziente o un suo parente a dover occuparsi di fotografare regolarmente l’occhio interessato. Inoltre, il gas potrebbe lentamente fuoriuscire, rendendo la lettura imprecisa. I ricercatori stimano però che il dispositivo possa funzionare correttamente per almeno dieci anni.

Ford presenta la bicicletta elettrica ripiegabile e ‘intelligente’

L’innovazione nel campo della mobilità sostenibile e flessibile potrebbe passare per una bicicletta elettrica leggera, ripiegabile e che integra varie funzioni avanzate, controllabili mediante un’applicazione telefonica e tecnologia Bluetooth. Ford presenta due proposte, MoDe:Me e MoDe:Pro, al Mobile Word Congress di Barcellona.

I due modelli di biciclette elettriche proposti da Ford: MoDe:Me e MoDe:Pro.  [Immagine: Ford]

I due modelli di biciclette elettriche proposti da Ford: MoDe:Me e MoDe:Pro. [Immagine: Ford]

Al Congresso Internazionale della Telefonía Mobile (MWC), in corso in questi giorni a Barcellona (Spagna), la casa automobilistica americana Ford ha proposto una soluzione nuova per una mobilità ecologica, pratica e “intelligente”. Si tratta di un veicolo a due ruote: una bicicletta elettrica che integra vari sistemi di aiuto alla guida, alcuni dei quali gestibili tramite connessione telefonica (con un’applicazione per Apple iPhone6).

Il nuovo veicolo è disponibile in due versioni. Il primo, MoDe:Me, è leggero e maneggevole, pensato per l’utente interessato alla mobilità sostenibile e flessibile, nonché ad evitare il traffico cittadino. L’altro, MoDe:Pro, è una bicicletta più grossa e robusta, destinata a corrieri e trasportatori, che può ospitare sul retro un baule per merce.

Entrambi i modelli sono ripiegabili su se stessi, al fine di conseguire compattezza, e quindi facilmente trasportabili in automobile e autobus. Essi presentano dei sensori di prossimità posteriori che rilevano se un veicolo si avvicina troppo da dietro: quando ciò accade, il manubrio vibra per informare il ciclista e le luci lampeggiano per avvertire il guidatore del veicolo che si approssima.

Il manubrio delle e-bike di Ford vibra per avvertire che un veicolo si sta avvicinando troppo da dietro o per segnalare la direzione in cui svoltare. [Immagine: Lynn La/CNET]

Il manubrio delle e-bike di Ford vibra per avvertire che un veicolo si sta avvicinando troppo da dietro o per segnalare la direzione in cui svoltare. [Immagine: Lynn La/CNET]

L’utente può scegliere il percorso da seguire tramite il navigatore satellitare di un telefono, collegato in Bluetooth alla bicicletta: quando giunge il momento di svoltare, la parte sinistra o destra del manubrio vibra, a seconda della direzione da prendere, e le corrispettive luci direzionali entrano in funzione. In più il veicolo dispone di due clacson, uno dal suono soave, pensato per i pedoni, e uno più forte, per i veicoli.

Il ciclista può anche decidere, grazie all’applicazione telefonica (chiamata MoDe:Link), di optare per un percorso misto, in cui cioè diverse parti del tragitto sono coperte con veicoli diversi: per esempio, può percorrere un primo tratto in auto, trasportando la bicicletta ripiegata; proseguire in bicicletta e poi eventualmente salire in autobus o tram. Tutto ciò grazie alla leggerezza e compattezza del mezzo.

Il modello MoDe:Pro, più alto e robusto, permette di agganciare un bauletto sul retro per il trasporto di merci. [Immagine: Lynn La/CNET]

Il modello MoDe:Pro, più alto e robusto, permette di agganciare un bauletto sul retro per il trasporto di merci. [Immagine: Lynn La/CNET]

La bicicletta è elettrica, però può funzionare normalmente a pedali. In tal caso, attraverso il manubrio si può misurare il battito cardiaco del ciclista e predisporre che, quando questo superi una certa frequanza, il motore elettrico entri in funzione, in modo da evitare un eccessivo sforzo o -eventualmente- che l’utente arrivi a destinazione sudato.

Queste biciclette intelligenti, chiamate anche e-bike, sono equipaggiate con un motore da 200 Watt e una batteria ricaricabile.

Al momento MoDe:Me e MoDe:Pro sono allo stadio di modelli concept, ossia di idea di progetto, e non si hanno conferme né indicazioni sul momento del lancio. Ad ogni modo l’intenzione è di renderle disponibili a prezzi accessibili.

Erica Klampfl, capo della mobilità della Ford, ha dichiarato che l’obiettivo attuale dell’azienda è quello di sperimentare nuove proposte e sviluppare nuove idee, sebbene ciò comporti assumersi dei rischi. Puntare sulla mobilità alternativa (all’auto) e sulle nuove tecnologie è senza dubbio una prospettiva interessante.

Ford sperimenta nel campo della mobilità sostenibile con due modelli di bicicletta "intelligente". [Immagine: IBTimes UK]

Ford sperimenta nel campo della mobilità sostenibile con due modelli di bicicletta “intelligente”. [Immagine: IBTimes UK]

Philae si mette a riposo… ora tocca agli scienziati analizzare i dati

Philae, il modulo spaziale sganciato dalla sonda Rosetta e atterrato sulla Cometa 67P, ha lavorato a ritmo serrato per raccogliere quanti più dati possibile prima che la batteria si scaricasse. I suoi strumenti hanno funzionato in maniera eccellente, però la scarsa illuminazione solare del sito in cui si è posato rende difficile la ripresa delle attività.

Unione di immagini scattate da Rosetta che mostrano il viaggio di Philae mentre si avvicina alla Cometa 67P/Churyumov–Gerasimenko fino a toccare la superficie e rimbalzare (12 Novembre 2014). [Immagine: ESA/Rosetta]

Unione di immagini scattate da Rosetta che mostrano il viaggio di Philae mentre si avvicina alla Cometa 67P/Churyumov–Gerasimenko fino a toccare la superficie e rimbalzare (12 Novembre 2014). [Immagine: ESA/Rosetta]

Dopo ore di intensa attività sulla superficie della Cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, il modulo Philae è scivolato in un sonno dal quale potrà essere risvegliato solo se la luce solare che colpirà i suoi pannelli sarà sufficiente a ricaricarne le batterie.

Così sarebbe stato con certezza se Philae si fosse posizionato esattamente nel sito previsto, pianeggiante e soleggiato. Purtroppo il sistema che avrebbe dovuto frenare la discesa del modulo e farlo atterrare dolcemente non ha funzionato, così Philae ha rimbalzato due volte sulla superficie della cometa prima di fermarsi in un luogo che è solo pochi metri distante da quello prescelto. Eppure, a causa della forma altamente irregolare del corpo celeste, la posizione attuale non permette ai pannelli solari di ricevere abbastanza luce per produrre energia.

I responsabili della missione hanno tentato di orientare meglio il modulo: per farlo ne hanno sollevato il corpo di 4cm e l’hanno ruotato di circa 35 gradi. In questo modo un’area più grande dei pannelli solari riceverà luce. In ogni caso, al momento la situazione resta sfavorevole: il poco tempo -meno di due ore- di illuminazione al giorno (dove un giorno della cometa 67P dura circa 12 ore) non è sufficiente a garantire autonomia al modulo, che quindi resterà dormiente in attesa di tempi migliori. La speranza dei suoi realizzatori è infatti che, man mano che la cometa si avvicinerà al nostro astro, i pannelli ricevano più luce e quindi producano l’energia necessaria ad alimentare il modulo.

Mentre vegliano sul sonno di Philae, gli scienziati sono già pienamente occupati ad analizzare i dati che tanto esso quanto la madre-sonda Rosetta hanno inviato in gran quantità. Durante il suo breve tempo di attività, infatti, Philae ha lavorato intensamente per raggiungere quanti più obiettivi possibile della missione. Tutti gli strumenti di cui è equipaggiato sono stati messi in funzione e hanno svolto le operazioni correttamente.

Philae a caccia di dati

In primo luogo, CONSERT (un sistema a trasmissione di onde radio) ha permesso di individuare la posizione finale di Philae dopo l’atterraggio, insieme alle immagini della cometa 67P catturate dalla stessa Rosetta. MUPUS ha poi esaminato la superficie della cometa al fine di scoprirne le caratteristiche termiche e meccaniche. APXS, invece, ha raccolto dati spettrometrici che consentiranno di determinarne la composizione.

SD2 ha perforato la crosta della cometa scendendo fino a 25cm e ha raccolto un campione di materiale, che è stato poi analizzato in situ da un altro stumento: COSAC. Questo studio è volto a determinare se la cometa contiene composti organici. PTOLEMY, invece, ha svolto misure finalizzate a conoscere i costituenti dei gas presenti sulla superficie della cometa 67P.

Immagine al computer di Philae sulla cometa. [Immagine: ESA/Rosetta]

Immagine al computer di Philae sulla cometa. [Immagine: ESA/Rosetta]

Tutte questi dati sono stati inviati a Rosetta perché li registrasse. La comunicazione tra Philae e la sonda è possibile solo per alcune ore al giorno, quando la posizione di Rosetta nell’orbita della cometa è tale da “vedere” il modulo e poterne ricevere i segnali. I dati sono stati poi comunicati alla Terra da Rosetta, che possiede trasmettitori più potenti e non ha problemi di approvvigionamento di energia solare.

Questa mole di informazioni sarà analizzata accuratamente dagli scienziati dell’ESA e dei vari istituti di ricerca coinvolti nella missione: saranno necessari anni di lavoro, anche se Philae non dovesse potersi risvegliare e mettersi all’opera un’altra volta.

La missione continua…

Per altro anche Rosetta ha contribuito cospicuamente all’accumulo di dati da studiare e continuerà a farlo. Dopo aver sganciato Philae, la sonda si è posizionata in un’orbita più esterna, a 30km circa dalla superficie della cometa. Nei prossimi giorni però riprenderà ad avvicinarsi fino a fermarsi in orbita a 20km di distanza. Il suo compito è seguire la cometa nella sua fase di avvicinamento al Sole.

Nei mesi a venire la cometa diventerà molto più attiva e i getti di gas già presenti (dovuti a evaporazione a causa della temperatura crescente) aumenteranno notevolmente. Rosetta continuerà a scattare foto e raccogliere informazioni che ci permetteranno di conoscere meglio il comportamento della cometa lungo la sua orbita intono al Sole.

I fisici e gli ingegneri che hanno lavorato negli ultimi venti anni a questa missione sono soddisfatti dei risultati finora ottenuti. Ovviamente tutti sperano di poter risvegliare Philae presto o tardi, ma in ogni caso si sono già segnati due primati: Rosetta è la prima sonda ad aver orbitato intorno ad una cometa e Philae il primo modulo atterrato sulla superficie della stessa.

Ora restiamo in attesa dei risultati dell’analisi dei dati raccolti. Sarà valsa la pena di spendere tutto questo denaro? Considerando le nazioni che vi hanno preso parte e gli anni di lavoro, i conti dicono che ogni contribuente ha partecipato con non più di 3 euro…

L’ESA ha prodotto un bellissimo video che spiega la missione di Rosetta e Philae.

Video Rosetta e Philae

Missione Rosetta: per la prima volta un modulo-sonda tocca il suolo di una cometa

Il modulo Philae si è distaccato oggi (12 novembre) dalla sonda Rosetta ed è atterrato con successo sulla Cometa 67P. Al termine di un’intensa notte di preparazione e sette ore e mezza di attesa nervosa, gli scienziati dell’ESA hanno ricevuto il primo segnale inviato da Philae dalla superficie della cometa. Ora il modulo inizierà un’intensa attività di esplorazione e raccolta dati, dai quali astrofisici e cosmologi sperano di trarre importanti informazioni sulla struttura delle comete e –chissà – sulle origini della vita sulla Terra.

Il modulo Philae in viaggio verso la cometa dopo il distaccco dalla sonda Rosetta [Immagine: ESA/Rosetta]

Il modulo Philae in viaggio verso la cometa dopo il distaccco dalla sonda Rosetta [Immagine: ESA/Rosetta]

La sonda spaziale Rosetta ed il modulo Philae si sono oggi separati, dopo un viaggio interplanetario durato 10 anni, e una nuova interessantissima fase della missione si è aperta. Philae ha affrontato sette ore di caduta libera sotto effetto della debole attrazione gravitazionale della Cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, fino ad atterrare e ancorarsi al suolo. La conferma del successo è giunta alle 17:03 (CET), circa mezz’ora dopo l’atterraggio, tempo necessario al segnale inviato dal modulo per percorrere gli oltre 500milioni di chilometri che separano la Terra dalla Cometa 67P.

L’esplosione di gioia dei protagonisti dell’impresa, ossia gli scienziati e ingegneri dell’ESA, è stata immensa. Soprattutto data la grande difficoltà dell’operazione. In primo luogo, non è stato facile individuare un sito adeguato per l’atterraggio. La superficie della cometa si è manifestata molto più irregolare e scoscesa di quanto ci si attendesse: rocce, crateri e suolo ghiaioso hanno limitato molto le possibilità di scelta da parte dei responsabili della missione. In più occorreva tenere in conto la esposizione alla luce solare del sito, dato che la sopravvivenza di Philae dipende dalla sua possibilità di ricaricare le batterie tramite energia solare.

Tra i cinque luoghi possibili individuati, è stato scelto quello chiamato ‘J’ e successivamente ribattezzato ‘Agilkia’, per restare nel tema ‘antico Egitto’ che segna tutta la missione. Il nome Rosetta viene infatti da una famosa lastra, scoperta nel 1799 d.C., che riporta una stessa inscrizione in geroglifico e greco, la quale permise l’interpretazione dell’antica scrittura egiziana. Philae invece è un’isola nel fiume Nilo che ospitava splendidi templi, i quali nel 1977 furono smontati e ricollocati su un’altra isola: Agilkia, per l’appunto.

Philae è il primo modulo costruito dall’essere umano a posarsi sulla superficie di una cometa, così come Rosetta è l’unica sonda che orbiti intorno ad una cometa. Pertanto si tratta di un evento eccezionale, che dimostra il successo di anni di lavoro, di accurati studi e ricerche, nonché calcoli precisi e controlli minuziosi. Ma la parte migliore deve ancora venire: si tratta delle immagini e dei dati che il modulo raccoglierà.

Il modulo Philae e i suoi numerosi strumenti di misura. [Immagine: ESA/Rosetta]

Il modulo Philae e i suoi numerosi strumenti di misura. [Immagine: ESA/Rosetta]

Alla scoperta della Cometa 67P

Equipaggiato con dieci strumenti di alta tecnologia, Philae sarà in grado di misurare la densità e le proprietà termiche della superficie della cometa, i suoi campi magnetici, la composizione dei suoi gas, nonché del suolo. Esso possiede infatti un trapano che può scavare fino a 20 centimetri di profondità e raccogliere materiale, il cui contenuto sarà analizzato sul posto.

Le batterie del modulo gli permetteranno di sopravvivere e raccogliere dati per 65 ore, dopodiché l’attività di Philae dipenderà solo dal Sole. Se i pannelli solari riceveranno abbastanza energia per ricaricare le batterie, il modulo potrà vivere per altri tre o quattro mesi, continuando il suo lavoro per un’ora ogni due giorni circa. A marzo la cometa raggiungerà il punto dell’orbita più vicino al sole e a causa della temperatura elevata gli strumenti di Philae non saranno più in grado di funzionare.

Grazie ai dati raccolti da Rosetta e Philae gli scienziati sperano di apprendere molto riguardo alla composizione delle comete e alle loro interazioni con il vento solare, flusso di particelle cariche emesso dal Sole. Alcuni scienziati suppongono che l’acqua e i componenti chimici alla base della vita possano essere stati portati sulla Terra – nei primi stadi della sua esistenza – proprio dalle numerose comete che entrarono in collisione con il nostro pianeta.

Presto Philae incomincerà a inviare foto della superficie della cometa, che si aggiungeranno alle splendide immagini che la stessa Rosetta va raccogliendo dalla sua posizione in orbita. Tutti gli aggiornamenti sono disponibili sul blog ufficiale della missione.

Fasi della discesa e di raccolta di dati di Philae. [Immagine: ESA/Rosetta]

Fasi della discesa e di raccolta di dati di Philae. [Immagine: ESA/Rosetta]

La notte del 26 settembre sarà bianca per gli amanti della scienza

Torna la Notte Europea dei Ricercatori, grande evento di divulgazione scientifica organizzato da Frascati Scienza e finanziato dalla Commissione Europea. Tantissimi gli appuntamenti in varie città d’Italia, tra visite guidate ai centri di ricerca, laboratori per adulti e bambini, mostre, conferenze e aperitivi con i ricercatori.

Notte Europea dei Ricercatori 2014: previsti numerosi laboratori per ragazzi.

Notte Europea dei Ricercatori 2014: previsti numerosi laboratori per ragazzi.

Domani, 26 settembre, torna in tutta Italia la Notte Europea dei Ricercatori, grande appuntamento dedicato alla divulgazione scientifica che chiude la Settimana della Scienza. In questi giorni centinaia di eventi organizzati in numerose città italiane hanno portato la scienza tra la gente e nelle scuole, così come molti centri di ricerca hanno aperto le porte al largo pubblico.

Un ricchissimo calendario di conferenze, aperitivi scientifici, visite guidate e laboratori per adulti e bambini ha consentito ai protagonisti della ricerca italiana di raccontare il proprio lavoro alla cittadinanza -soprattutto ai giovani- e coinvolgerla in numerose attività.

La giornata di domani sarà il momento culminante della manifestazione e gli eventi si protrarranno fino a tardi, in una notte bianca dedicata alla scienza e all’eccellenza italiana nella ricerca.

notte ric

Visite guidate presso i centri di ricerca

Vari istituti de enti apriranno le porte al pubblico, che avrà modo di essere accompagnato dai ricercatori attraverso i laboratori in cui si svolgono gli esperimenti o si costruiscono grandi apparati sperimentali. Tra questi, i Laboratori Nazionali di Frascati dell’INFN, l’Ente italiano per la ricerca nella fisica delle particelle elementari, nucleare, astro-particellare e medica.

Anche l’ENEA, Ente Nazionale per l’Energia, accoglierà visitatori all’interno delle proprie strutture e realizzerà laboratori di ottica per ragazzi, dedicati allo studio delle caratteristiche di varie sorgenti di luce (fonti incoerenti e fasci laser) e alle illusioni ottiche.

A Frascati sarà allestito un laboratorio di antropologia forense. [Immagine: Frascati Scienza]

A Frascati sarà allestito un laboratorio di antropologia forense. [Immagine: Frascati Scienza]

Laboratori per adulti e bambini

Per gli appassionati di ossa e della serie televisiva “Bones”, a Frascati sarà allestito un laboratorio di antropologia forense, ossia la branca della scienza che studia gli scheletri rivolta alle indagini giudiziarie.

Moltissimi appuntamenti sono previsti anche presso l’INFN di Catania, con laboratori dedicati alla rivelazione dei raggi cosmici, alla robotica, alla biologia marina, nonché all’impiego delle conoscenze fisiche per la tutela dell’arte.

Aperitivi scientifici e incontri con ricercatori in tante città. [Immagine: Frascati Scienza]

Aperitivi scientifici e incontri con ricercatori in tante città. [Immagine: Frascati Scienza]

Mostre e incontri con i ricercatori

Ancora mostre a Milano, Roma, Trieste e Cagliari, aperitivi scientifici a Pisa, Pavia e Frascati e tanti laboratori dedicati ai più piccoli (a Bologna, Frascati, Roma, Bari, ecc).

Presso l’ESRIN, centro dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) di Frascati, sarà possibile incontrare l’astronauta italiano Paolo Nespoli, che parlerà del suo soggiorno nella Stazione Spaziale Internazionale e condividerà le sue esperienze di vita in assenza di gravità.

Non mancheranno anche visite al Planetario di Bologna e all’Osservatorio Gravitazionale Europeo (EGO) di Cascina (Pisa), laboratori dedicati alle energie sostenibili, nonché musica nelle piazze (a Cagliari fino a notte inoltrata, con proposte di musica rap per i più giovani).

Notte Europea dei Ricercatori 2014: previste visite al Planetario di Bologna e all'Osservatorio Gravitazionale Europeo (EGO) di Cascina (Pisa).

Notte Europea dei Ricercatori 2014: previste visite al Planetario di Bologna e all’Osservatorio Gravitazionale Europeo (EGO) di Cascina (Pisa).

Un evento divulgativo di successo

Lunghissimo e variegato il programma, consultabile sul sito web di Frascati Scienza. L’affluenza attesa è elevata, come già rilevato in questi giorni, nonché nelle edizioni passate.

La Notte Europea dei Ricercatori è infatti giunta con successo alla sua nona edizione. Si tratta di un progetto coordinato e realizzato da Frascati Scienza in collaborazione con numerosi enti, nonché promosso dalla Commissione Europea. Esso rappresenta il primo progetto finanziato tramite il nuovo programma Horizon 2020, che nei prossimi sette anni investirà oltre ottanta miliardi di euro nella ricerca scientifica e l’innovazione.

L’idea nasce dal desiderio di avvicinare il più vasto pubblico alla scienza, di renderla accessibile e comprensibile, nonché di mostrare come la ricerca sia fondamentale per lo sviluppo della società. Eventi divulgativi di questo tipo rappresentano inoltre un’occasione per ricordare e celebrare l’eccellenza italiana nei più vari settori della scienza.

La risposta del pubblico dimostra che questo desiderio (o addirittura esigenza) è condiviso e apre la strada a sempre più numerose e interessanti iniziative.

La Notte Europea dei Ricercatori è un progetto coordinato e realizzato da Frascati Scienza e promosso dalla Commissione Europea.

La Notte Europea dei Ricercatori è un progetto coordinato e realizzato da Frascati Scienza e promosso dalla Commissione Europea.

A settembre la scienza è per tutti (e di tutti)

Ritornano tra il 22 e il 26 settembre la Settimana della Scienza e la Notte Europea dei Ricercatori, appuntamenti ormai fondamentali per quanti siano curiosi di conoscere il mondo della ricerca scientifica e i suoi protagonisti. Molti gli enti coinvolti (coordinati da Frascati Scienza) e numerosissimi gli appuntamenti.

Manifesto della Notte Europea dei Ricercatori [immagine: Frascati Scienza]

Manifesto della Notte Europea dei Ricercatori [immagine: Frascati Scienza]

Anche quest’anno all’arrivo dell’autunno la scienza scende dalla cattedra e si mescola tra la gente, adulti e bambini. Tra il 22 e il 26 settembre avrà infatti luogo la nona edizione della Settimana della Scienza, grande evento di divulgazione scientifica che si propone di portare la ricerca e i suoi protagonisti tra i cittadini e in particolare tra i giovani studenti.

Il calendario è ricchissimo di eventi, ben 150 distribuiti dal centro al nord al sud d’Italia. Si spazia da aperitivi scientifici con ricercatori, a gite a parchi e siti archeologici, da spettacoli interattivi per gli studenti delle scuole medie ad attività di gioco-educazione per i più piccoli. Sono incluse anche visite ad alcuni centri di ricerca, che apriranno le porte dei propri laboratori e mostreranno gli esperimenti condotti. Le città coinvolte quest’anno sono: Roma e Frascati, Bologna, Ferrara, Pisa, Trieste, Milano, Pavia, Cagliari, Bari, Catania.

La settimana culminerà e si concluderà il 26 settembre con la Notte Europea dei Ricercatori 2014, notte ‘bianca’ della ricerca, che nelle passate edizioni ha avuto un grandissimo successo tanto in Italia come in altri paesi europei.

La Notte Europea dei Ricercatori è un progetto finanziato dalla Commissione Europea e coordinato da Frascati Scienza, in collaborazione con varie altre istituzioni e centri di ricerca italiani.

Scienza e sostenibilità

Il tema centrale di quest’anno è la sostenibilità, questione di interesse tanto scientifico quanto di governance: occorre pianificare un futuro tecnologico, sociale e politico che tenga conto delle grosse problematiche ambientali e sociali che siamo chiamati ad affrontare in questo momento storico.

Oltre ad essere molto attuale, il tema della sostenibilità coinvolge particolarmente la scienza e i ricercatori, impegnati a trovare soluzioni e mettere a punto nuove tecnologie per affrontare le sfide concernenti il futuro del pianeta e dell’umanità.

Molti gli eventi dedicati a ragazzi e bambini. [immagine: Frascati Scienza]

Molti gli eventi dedicati a ragazzi e bambini. [immagine: Frascati Scienza]

Eccellenza italiana

Eventi divulgativi come la Settimana della Scienza e la Notte dei Ricercatori sono nati dall’esigenza, da un lato, dei ricercatori di avvicinarsi alla gente, far conoscere loro la propria vita quotidiana e l’importanza dei loro studi, dall’altro, della gente di saperne di più, di superare e abbattere la barriera tra la scienza e la vita comune. Il successo di tutti gli appuntamenti dimostra l’interesse destato da questi eventi e la loro efficacia.

Allo stesso tempo, si tratta di occasioni per mettere in risalto il grande impegno dei ricercatori italiani, l’eccellenza delle nostre realtà scientifiche e l’importanza della nostra ricerca in Europa. “La Notte Europea dei Ricercatori organizzata da Frascati Scienza si è classificata prima nei progetti presentati da tutti gli stati membri”, commenta il presidente di Frascati Scienza, Giovanni Mazzitelli, “firmando il primo contratto del nuovo programma di finanziamento europeo – Horizon 2020 – che nei prossimi sette anni finanzierà con oltre 80 miliardi di euro progetti di ricerca e innovazione.”

Una sezione speciale dell’evento sarà dedicata alle donne nella scienza, fortunatamente sempre più in aumento, con interventi da parte di alcune giovani ricercatrici, nonché la partecipazione di Fabiola Gianotti, fisica del CERN che ha diretto uno dei due esperimenti che sono giunti alla scoperta del bosone di Higgs, particella fondamentale ipotizzata nel 1964 e a lungo cercata.

Una sezione speciale dell’evento sarà dedicata alle donne nella scienza, con interventi di alcune giovani ricercatrici.

Una sezione speciale dell’evento sarà dedicata alle donne nella scienza, con interventi di alcune giovani ricercatrici. [Immagine: Frascati Scienza]

In gita per laboratori

Tra gli enti partner, i Laboratori Nazionali di Frascati dell’INFN apriranno le porte al vasto pubblico con visite guidate da ricercatori, che accompagneranno la gente a scoprire le installazioni di alcuni esperimenti nonché alcuni laboratori. A sua volta l’ENEA metterà per la prima volta a disposizione il Centro Ricerche Casaccia (oltre a quello di Frascati) per consentire a un più vasto pubblico di partecipare alle attività e conoscere l’impegno dell’ente nello sviluppo di tecnologie energetiche sostenibili.

Anche l’Universo, che esercita sempre un gran fascino, avrà il suo posto sotto i riflettori. Infatti, i ricercatori dell’INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica) organizzeranno eventi presso l’osservatorio astronomico di Roma, soprattutto per i bambini. Così anche a Pisa, dove l’Osservatorio Gravitazionale Europeo (EGO) aprirà le porte al pubblico per due giorni, con visite guidate e conferenze. Proprio nella pianura presso Pisa, a Cascina, l’esperimento Virgo (un grande interferometro con due bracci lungo ciascuno 3km) punta i propri strumenti al cielo, cercando di captare tracce delle onde gravitazionali previste da Einstein quasi un secolo fa.

Alla scoperta dell'Universo presso l'Osservatorio Astronomico di Roma e l'Osservatorio Gravitazionale Europeo vicino Pisa.

Alla scoperta dell’Universo presso l’Osservatorio Astronomico di Roma e l’Osservatorio Gravitazionale Europeo vicino Pisa.

Il programma completo della Settimana della Scienza e della Notte dei Ricercatori è consultabile sul sito di Frascati Scienza, con la possibilità di cercare gli eventi in base alla tipologia, la città e dell’età dei destinatari, a questo link.

Dinamiche cooperative tra robot… come in natura

Un gruppo di ricercatori all’Università di Harvard, Boston, ha realizzato una ‘colonia’ di oltre mille piccoli robot in grado di interagire e comunicare localmente tra di essi, al fine di svolgere azioni in collaborazione. Questi studi ambiscono a riprodurre le dinamiche cooperative adottate in natura da numerosi gruppi di esseri viventi.

Colonia di kilobot.

Colonia di kilobot.

1024 piccoli robot si muovono uno dietro l’altro, in uno sciame ordinato, e si collocano in posizione per ricostruire precise figure bidimensionali, come una stella o una chiave inglese. Tutto ciò senza l’aiuto dell’uomo, bensì semplicemente interagendo tra essi e seguendo le istruzioni di un programma.

A prima vista la cosa può sembrare facile e, chissà, poco utile. Al contrario, far sì che un gran numero di semplici automi esegua in cooperazione azioni complesse è arduo e richiede un grande sforzo ingegneristico.

Il fine è riprodurre comportamenti collaborativi che si osservano in natura, i quali hanno consentito l’adattamento di varie specie al loro ambiente. Si tratta, evidentemente, di dinamiche collettive vincenti.

Intelligenza collettiva

Gli esempi sono tanti: singoli batteri si riuniscono in gruppi, cellule si auto-organizzano per formare organismi multicellulari, colonie di formiche creano strutture tridimensionali con i propri corpi, e così via. Questo tipo di comportamento viene definito ‘intelligenza collettiva’ o anche ‘distribuita’.

Un gruppo di scienziati dell’Università di Harvard, Boston, si è ispirato proprio alle formiche per realizzare piccoli robot autonomi che ha chiamato ‘kilobot‘.

Ciascuna formica rappresenta un’unita poco sviluppata e dotata di capacità ristrette. Eppure una colonia (anche immensa) riesce a svolgere attività complesse, come muoversi per lunghe distanze in maniera ordinata, procurare cibo per tutte e superare ostacoli costruendo ponti con i propri corpi.

Le formiche sono in grado di costruire strutture tridimensionali usando il proprio corpo. Ad esempio, realizzano ponti per consentire alle compagne di superare ostacoli passando loro sopra; inoltre fabbricano interi nidi (chiamati 'bivacchi'), strutture intricate i cui 'mattoni' da costruzione sono semplicemente i loro corpi.

Le formiche sono in grado di costruire strutture tridimensionali usando il proprio corpo. Ad esempio, realizzano ponti per consentire alle compagne di superare ostacoli passando loro sopra; inoltre fabbricano interi nidi (chiamati ‘bivacchi’), strutture intricate i cui ‘mattoni’ da costruzione sono semplicemente i loro corpi.

Analogamente, i kilobot hanno una struttura molto basilare, sono facilmente ricaricabili e sostituibili. Essi sono però in grado di utilizzare semplici funzioni per svolgere complesse azioni su larga scala.

Singoli robot-formiche…

Un kilobot è un automa cilindrico grande all’incirca quanto una moneta da un euro, si muove su sottili gambe rigide grazie a due motori vibrazionali, comunica con i compagni tramite un trasmettitore-ricevitore di segnali infrarossi ed è dotato di un microcontrollore per eseguire programmi precaricati.

Ogni robot può svolgere solo tre azioni fondamentali:

  • seguire il bordo, ossia un robot può muoversi lungo il contorno di un gruppo di compagni, misurando la propria distanza da quelli più esterni;

  • diramare un segnale di gradiente, cioè un robot sorgente può trasmettere un valore di gradiente che viene comunicato da un individuo all’altro e che aumenta man mano che l’informazione si propaga attraverso la colonia; questo permette al singolo robot di conoscere la propria distanza geodesica dalla sorgente;

  • localizzarsi, vale a dire che un robot può costruire un sistema di coordinate misurando la propria distanza dai compagni ad esso più vicini.

La colonia di robot viene programmata con algoritmi collettivi, i quali si basano su queste tre semplici operazione.

(a) Un kilobot mostrato a lato di una moneta di un penny americano (per dedurne le dimensioni). (b) Ciascun kilobot è dotato di due motori vibrazionali, un trasmettitore-ricevitore infrarosso rivolto verso il basso, un microcontrollore per eseguire programmi. I robot comunicano con i compagni entro una distanza di 10cm inviando un segnale infrarosso che riflette sulla superficie sottostante su cui si muovono. (c) Una colonia di 1024 robot (210, ossia un 'kilo' di robot, in unità di misura informatica informatica). [Immagine: Harvard University]

(a) Un kilobot mostrato a lato di una moneta di un penny americano (per dedurne le dimensioni). (b) Ciascun kilobot è dotato di due motori vibrazionali, un trasmettitore-ricevitore infrarosso rivolto verso il basso, un microcontrollore per eseguire programmi. I robot comunicano con i compagni entro una distanza di 10cm inviando un segnale infrarosso che riflette sulla superficie sottostante su cui si muovono. (c) Una colonia di 1024 robot (210, ossia un ‘kilo’ di robot, in unità di misura informatica informatica). [Immagine: Harvard University]

…e colonie cooperative

I ricercatori di Harvard hanno sperimentato la capacità dei kilobot di ritracciare forme bidimensionali nello spazio. A ciascun elemento vengono fornite le informazioni relative alla forma e alla dimensione della struttura da realizzare. Essi la costruiranno impiegando le tre semplici azioni di cui tutti sono capaci, a partire da una configurazione caotica (in cui però i robot sono vicini l’uno all’altro).

Per iniziare il procedimento, un utente umano deve collocare 4 robot, programmati in maniera speciale, i quali comporranno il nucleo iniziale. Essi diventano il riferimento per gli altri, marcando la posizione e l’orientazione della forma bidimensionale da costruire. I robot del nucleo diramano un segnale di gradiente, che si propaga attraverso la colonia iniziale. Di conseguenza, i robot che rilevano di essere all’esterno del gruppo, in posizione più lontana dalla sorgente del segnale, iniziano a muoversi lungo il bordo fino a raggiungere il nucleo.

Man mano che i robot si spostano in sequenza, si collocano uno accanto all’altro ricostruendo la forma richiesta. Per farlo, essi confrontano la propria posizione con la sagoma della struttura da costruire e, quando si accorgono di starvi all’interno, si muovono fino a posizionarsi al fianco dell’ultimo robot fermatosi, oppure all’ultimo posto libero sul bordo, un passo prima di uscire dalla sagoma.

Orientarsi nello spazio

Il singolo robot-formica non possiede alcuna informazione riguardo alla sua posizione assoluta nello spazio, conosce solo la propria distanza dai compagni prossimi vicini. Tale distanza è calcolata scambiando segnali infrarossi con gli altri robot e misurando l’intensità della luce ricevuta: ovviamente a minor intensità corrisponde maggiore distanza.

I kilobot però possono ricostruire un sistema di coordinate locali usando come riferimento i membri del nucleo. Questo consente loro di costruire la forma richiesta in maniera abbastanza precisa.

Forme da ricostruire, fornite ai robot come parte del loro programma. (B, D) Auto-organizzazione dei robot a partire da una posizione iniziale con 4 robot posti come nucleo (sinistra) fino a quella finale (destra). [Immagine: Harvard University]

Forme da ricostruire, fornite ai robot come parte del loro programma. (B, D) Auto-organizzazione dei robot a partire da una posizione iniziale con 4 robot posti come nucleo (sinistra) fino a quella finale (destra). [Immagine: Harvard University]

Questione di ordini di grandezza

Esperimenti di assemblaggio e cooperazione in gruppi di robot erano stati già fatti in precedenza, si trattava però di colonie molto ristrette, di non più di 10-50 elementi. Solo qualche limitato tentativo era stato fatto con un centinaio di robot. Passare all’ordine di grandezza del migliaio presenta molte difficoltà, tanto dal punto di vista meccanico quanto da quello informatico.

Quando si ha a che fare con molti elementi, operazioni come ricaricare le batterie e programmare gli individui diventano problematiche. I ricercatori di Harvard hanno pertanto dotato i kilobot di gambe e un’antennina di metallo che costituiscono due elettrodi: ponendo i robot (in gruppo) tra due fogli di metallo li si può ricaricare tutti in contemporanea. Inoltre il sistema di comunicazione a raggi infrarossi consente di programmare tutta la colonia a un tempo, senza uso di dispositivi dotati di cavo.

Dal punto di vista informatico, invece, le problematiche sono legate alla robustezza dell’algoritmo di fronte a possibili imprevisti, vale a dire malfunzionamenti di qualcuno dei robot. Per ovviare ai casi più probabili sono state previste procedure di correzione. Così, per esempio, un robot che si fermi per rottura del motore può inviare agli altri il segnale di proseguire il cammino superandolo; oppure se due robot si urtano e perdono cognizione della propria locazione spaziale, possono ricalcolarla in riferimento ai robot più vicini (a patto che essi siano almeno tre e non allineati).

L’esperimento è stato ripetuto numerose volte e i kilobot hanno mostrato un comportamento collettivo efficiente e grande robustezza del processo. Così i ricercatori di Harvard hanno potuto vedere i loro 1024 piccoli robot sfilare in fila indiana e collocarsi in varie forme, come un esercito di diligenti formiche. Tutto ciò, senza intervenire in alcun momento, a parte quello iniziale.

L’obiettivo futuro è far sì che i piccoli automi compiano azioni cooperative sempre più complesse e … in colonie sempre più estese.

Qui di seguito il video: guardare per credere.

Un software per individuare il rischio di epidemie fin dall’insorgere dei primi focolai

Il programma Healthmap sviluppato presso un ospedale di Boston consente di raccogliere tra siti ufficiali, giornali locali e social media dati relativi al manifestarsi di malattie infettive, come l’ebola. Potrebbe diventare uno strumento prezioso per il rapido riconoscimento di contagi in atto.

Medici senza frontiere impegnati in Guinea nella lotta contro la diffusione del virus ebola.

Medici senza frontiere impegnati in Guinea nella lotta contro la diffusione del virus ebola.

Quando si ha a che fare con malattie infettive che possono diffondersi rapidamente, come quella provocata dal virus ebola, la capacità di individuare in tempi rapidi i primi segnali del contagio è fondamentale per intervenire tempestivamente ed evitare un’epidemia.

Un software sviluppato da un gruppo di ricercatori dell’Ospedale Infantile di Boston, chiamato Healthmap, potrebbe rivelarsi estremamente utile per coadiuvare gli sforzi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nel tenere sotto controllo i focolai di malattie infettive in tutto il pianeta. La prova è data dal fatto che Healthmap individuò gli indizi dell’insorgere dell’attuale epidemia di ebola in Africa occidentale prima che le istituzioni competenti se ne accorgessero e lanciassero l’allarme.

Come funziona Healthmap

Il programma impiega algoritmi che collezionano le informazioni disponibili in rete relative alla contrazione di malattie infettive, cercandole costantemente presso gli organi di informazione ufficiale di governi e istituti di sanità, ma anche giornali e periodici locali, media sociali e blog (in 15 lingue). Le informazioni vengono filtrate, in primo luogo dal programma, successivamente da esseri umani, in modo da eliminare dati o notizie non affidabili.

Tutte queste informazioni sono organizzate per tema (tipo di malattia) e stato e visualizzate su una mappa mondiale interattiva. Quando vengono raccolte varie notizie del manifestarsi nel medesimo luogo di una malattia infettiva, sulla mappa appare un cerchio colorato (secondo una scala proporzionale al numero di dati), che segnala un possibile problema medico da analizzare al fine di scongiurare l’insorgere di un’epidemia.

La mappa interattiva di Healthmap che mostra le notizie relative al manifestarsi di ogni tipo di malattia infettiva. L'interfaccia grafica permette di navigare facilmente tra le informazioni relative ai vari paesi e di leggere direttamente i comunicati o gli articoli raccolti.

La mappa interattiva di Healthmap. L’interfaccia grafica permette di navigare facilmente tra le informazioni relative ai vari paesi e di leggere direttamente i comunicati o gli articoli raccolti.

Healthmap di fatto nacque otto anni fa, ad opera di John Brownstein, epidemiologo e professore di pediatria, e Clark Freifeld, programmatore dottorato in ingegneria biomedica, con l’aiuto di un team di collaboratori che è andato crescendo negli anni e ora conta 45 membri.

Il software è stato migliorato nel tempo, il sito è pubblico e i dati sono accessibili a tutti gli utenti. Inoltre, l’interfaccia grafica permette di navigare facilmente tra le informazioni relative ai vari paesi e di leggere direttamente i comunicati o gli articoli raccolti. I suoi ideatori sostengono che il traffico sul sito è aumentato enormemente negli ultimi mesi, in seguito alla vicenda del virus Ebola.

Healthmap individuò il contagio da ebola 9 giorni prima che la OMS lo annunciasse

Il 14 Marzo scorso Healthmap riportò una notizia che segnalava la morte di otto persone in Guinea a causa di una “misteriosa febbre emorragica”; cinque giorni dopo, sulla mappa interattiva apparve un cerchio rosso, il quale segnalava la raccolta di dati relativi alla morte di ben 23 individui, a causa di una malattia che sembrava essere ebola. In pratica, Healthmap rilevò l’insorgere del focolaio -e diede un segnale di allarme- prima che le istituzioni pubbliche si rendessero conto di ciò che stava accadendo. Del resto è noto che le informazioni viaggiano molto più rapidamente e facilmente sul web che lungo le vie ufficiali.

La conferma da parte dell’OMS arrivò solo il 23 marzo, in seguito ad una notifica ufficiale del Ministero della Sanità della Guinea.

Eventi segnalati da Healthmap il 19 Marzo 2014 in Guinea.

Eventi segnalati da Healthmap il 19 Marzo 2014 in Guinea.

I creatori di Healthmap sottolineano che il programma non si propone di sostituire gli organi ufficiali, quali appunto l’OMS, che per altro hanno il compito di verificare accuratamente le informazioni e diffonderle nella maniera più opportuna. L’individuazione di fenomeni di contagio, soprattutto ai primi stadi, è però molto difficile, in particolare quando si verificano in paesi con limitate infrastrutture sanitarie pubbliche.

Uno strumento al servizio di governi e istituti di sanità

La ricerca e raccolta costante di notizie, organizzate e associate in maniera ragionata da specifici algoritmi, consente a volte di rilevare pattern epidemiologici, ossia schemi di contagio o diffusione di una malattia, che senza una visione completa e di insieme possono sfuggire, per essere poi notati quando il fenomeno abbia assunto già portata significativa.

“Il nostro obiettivo è quello di mettere a disposizione dei governi, degli istituti di sanità e degli epidemiologi informazioni accurate, il più rapidamente possibile, in modo che essi possano rispondere meglio e tempestivamente al diffondersi di malattie infettive”, afferma Brownstein.

Data la crescita del fenomeno ebola in questi mesi -e l’allarme sanitario conseguente- gli sviluppatori di Healthmap hanno creato una pagina a parte per questa epidemia, nella quale si possono consultare tutte le notizie raccolte a partire dal 14 marzo scorso. Inoltre, collegandosi a questo link e premendo “play” è possibile vedere come si è gradualmente diffusa l’infezione.

Ovviamente Healthmap non è perfetto e senza dubbio continuerà ad essere migliorato. E’ comunque auspicabile che, in seguito alla drammatica vicenda vissuta ora dall’Africa occidentale, strumenti informatici di questo tipo siano adottati e adoperati più sistematicamente.

Nuove fibre ottiche per le telecomunicazioni e la chirurgia

Sviluppata una nuova fibra ottica, dalla struttura altamente disordinata, che sarà in grado di trasmettere più informazione. La maggiore concentrazione del fascio luminoso da essa trasportato consentirà anche la realizzazione di bisturi laser molto più precisi.

Le fibre ottiche sono largamente impiegate nelle telecomunicazioni, nella medicina e nell'illuminotecnica.

Le fibre ottiche sono largamente impiegate nelle telecomunicazioni, nella medicina e nell’illuminotecnica.

Un gruppo di ricercatori italiani (CNR e IIT) e del Wisconsin ha sviluppato un nuovo tipo di fibra ottica che permetterà trasmissioni più veloci e operazioni chirurgiche più precise.

Essa si basa sull’applicazione del fenomeno di localizzazione delle onde di Anderson, noto ormai da mezzo secolo, combinata con l’impiego di moderni metodi di focalizzazione della luce.

Intrappolare le onde

Nel propagarsi in un mezzo, normalmente le onde diffondono in tutte le direzioni. Se si aumenta il disordine del mezzo, ossia i difetti della sua struttura, la diffusione viene ostacolata. Secondo l’interpretazione del fenomeno data da Anderson, esiste una quantità critica di tali difetti oltre la quale si arriva alla completa assenza di trasmissione.

Utilizzando un mezzo adeguatamente disordinato, dunque, si può inibire la diffusione delle onde in tutte le direzioni e localizzarne spazialmente il cammino. Questo è stato dimostrato per vari tipi di onde: elettromagnetiche, meccaniche, sonore.

Nel nostro caso, l’onda in questione è la luce (che è al tempo stesso onda elettromagnetica e flusso di particelle, i fotoni) e il mezzo è la fibra ottica. Per far sì che un fascio di luce si propaghi in una direzione precisa, occorre utilizzare una fibra ottica avente una struttura tale che la trasmissione sia inibita lateralmente ma non longitudinalmente.

Una struttura disordinata

Questo effetto è stato ottenuto dai ricercatori impiegando una fibra costruita con micro-tubi di materiali plastici (polistirene e polietil-metacrilato) disposti in maniera disordinata. Il fascio ottico che porta l’informazione viene focalizzato tramite un sistema di modulazione spaziale di luce e inviato lungo la fibra ottica, che rappresenta la linea di trasmissione.

Gli esperimenti condotti hanno dimostrato che il fascio resta molto concentrato, confinato in un cammino molto stretto. Ciò consente di realizzare fibre con più cammini ottici in parallelo, così da permettere la trasmissione in contemporanea di più informazione.

La struttura disordinata della nuova fibra ottica permette di confinare spazialmente il fascio di luce lungo un cammino molto stretto.

Immagine al microscopio elettronico di una fibra ottica a struttura disordinata.Tale struttura permette di confinare spazialmente il fascio di luce lungo un cammino molto stretto. La banda bianca in basso a destra corrisponde a 4 micrometri di lunghezza. [Immagine: Nature]

Le applicazioni

Le possibili applicazioni di queste nuove fibre però non si limitano solo alle telecomunicazioni, bensì anche alla medicina, in particolare alla chirurgia laser.

In chirurgia, si può utilizzare una fibra ottica per trasportare un fascio laser e realizzare tagli molto precisi, uniti a un effetto coagulante – spiega Claudio Conti, direttore dell’Istituto dei sistemi complessi del CNR – Il taglio è tanto più preciso, quanto più la luce è focalizzata, e le nuove fibre potrebbero migliorare la precisione di questo bisturi laser.”

Gli istituti di ricerca italiani coinvolti in questa ricerca sono numerosi: l’Istituto dei sistemi complessi (ISC) e l’Istituto per i processi fisico chimici (IPCF) del Consiglio Nazionale delle Ricerche; l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT); il Dipartimento di Fisica della Sapienza. Il lavoro, che è stato realizzato in collaborazione con alcuni ricercatori dell’Università del Wisconsin, è stato recentemente pubblicato sulla rivista Nature Communications’.


Cos’è la fibra ottica?

Le fibre ottiche sono dei tubicini di materiale plastico o vetroso all’interno dei quali si può far propagare la luce in maniera guidata. I cavi realizzati con fibre ottiche sono molto flessibili e resistenti a disturbi elettrici, intemperie, variazioni di temperatura. Pertanto possono essere impiegati per trasmettere segnali a larga distanza, incorrendo in scarsa degradazione del segnale.

Struttura di un cavo di fibra ottica: nucleo (core); mantello (cladding); rivestimento (coating).

Struttura di un cavo di fibra ottica: nucleo (core); mantello (cladding); rivestimento (coating).

Ogni singola fibra ottica è composta da due strati concentrici di materiale trasparente molto puro: un nucleo cilindrico centrale, detto core, ed un mantello esterno, chiamato cladding. Il tutto è poi ricoperto da una guaina isolante polimerica che protegge la fibra da stress fisici.

Il segnale ottico si trasmette lungo la fibra rimbalzando tra il nucleo e il mantello. Più precisamente, la luce entra nel core ad un certo angolo e si propaga mediante una serie di riflessioni alla superficie di separazione fra il nucleo e il mantello.

Superluna, perché?

Il fenomeno della Luna più grande e brillante nel cielo appassiona sempre più non solo amanti dell’astronomia, bensì anche gente comune. Ma qual è la spiegazione scientifica?

"Superluna", ovvero Luna piena al perigeo.

“Superluna”, ovvero Luna piena al perigeo.

Quest’anno nella notte di San Lorenzo la Luna ha rubato il palcoscenico alle stelle cadenti. Per la seconda volta in poco tempo, infatti, il 10 agosto si è verificato il fenomeno della “luna al perigeo”, comunemente e affettuosamente ribattezzata “superluna”.

Cos’è la superluna?

La Luna compie una rotazione completa intorno alla Terra ogni mese, seguendo un’orbita ellittica, cioè di forma ovale. Lungo questa traiettoria tocca due estremi, uno chiamato “apogeo”, il punto in cui essa è più lontana dalla Terra, e l’altro detto “perigeo”, nel quale è più vicina di 50.000km. E’ questa differenza di distanza che ci fa apparire le dimensioni della Luna come variabili nell’arco del mese.

In realtà, però, il più delle volte non ce ne accorgiamo affatto, perché il fenomeno è visibile ad occhio nudo solo se la Luna è piena nel momento in cui raggiunge il perigeo. In questa circostanza, ci appare più grande del normale e più brillante del 30%.

Quest’anno tale coincidenza accade ben tre volte: il 12 luglio, il 10 agosto e il 9 settembre. Quella della notte di San Lorenzo però è stata la Luna “più grande” delle tre, in quanto la coincidenza è stata migliore. Il 12 luglio e il 9 settembre, infatti, a coincidere è il giorno di luna piena con il raggiungimento del perigeo; la notte del 10 agosto, invece la Luna è diventata piena nella stessa ora del perigeo.

Di fatto, però, spesso non è facile accorgersi della differenza di dimensione apparente e luminosità della Luna. In primo luogo, perché ci può essere nebbia o foschia, in secondo luogo perché di fatto l’occhio umano ha difficoltà a percepire la dimensione di un oggetto nel cielo se non può confrontarlo con un altro di riferimento di cui conosce la taglia, come ad esempio un palazzo.

Superluna o illusione lunare?

Superluna o illusione lunare?

L’illusione lunare

Proprio questo meccanismo celebrale, che ci consente di percepire le dimensioni degli oggetti, anche posti a diverse distanze, confrontandoli con altri, è probabilmente alla base di un altro noto fenomeno, che però non ha niente a che vedere con la superluna. Si tratta dell’illusione lunare.

L’illusione di verifica quando la Luna è molto bassa sull’orizzonte e appare tra costruzioni e alberi. In tal caso, infatti, ci sembra che essa sia molto più grande del normale, indipendentemente dalla posizione nella sua orbita. Ciò ovviamente non è vero, si tratta di un errore di percezione.

Coloro che si sono persi l’evento, potranno rifarsi il 9 settembre prossimo, anche se sarà forse un poco meno evidente. In ogni caso, non si tratta di un evento così raro, quindi ci saranno ancora molte occasioni. Diffidare però della Luna all’orizzonte: si potrebbe trattare di semplice illusione.

Nella sua orbita ellittica, la Luna  tocca due estremi: l'“apogeo”, il punto in cui essa è più lontana dalla Terra, e il “perigeo”, nel quale è più vicina di circa 50.000km.

Nella sua orbita ellittica, la Luna tocca due estremi: l’“apogeo”, il punto in cui essa è più lontana dalla Terra, e il “perigeo”, nel quale è più vicina di circa 50.000km.